Un giorno al Salar de Uyuni, Bolivia. Un tuffo al cuore…

24 Novembre 2017

Sono le 4 e mezzo del mattino, quando lasciamo la camera del nostro hotel, costruito interamente col sale.
Fuori è buio pesto e fa freddo, tanto freddo. Il cielo è una trapunta di stelle, ce ne sono così tante che gli occhi fanno fatica a reggerne la vista.
La nostra guida boliviana, Ovi, è in piedi sul tetto del fuoristrada, intento a caricare gli zaini. Col nostro equipaggio di avventurieri saltiamo a bordo e ci dirigiamo verso l’isola Incahuasi.
Ovi guida sereno, seguendo una pista, che non riesco a vedere. Intorno a noi il nulla. Mi chiedo come faccia ad orientarsi, sembra un nocchiere in mare aperto.
A poco a poco, comincio a scorgere altri fari… altri fuoristrada, altri viaggiatori, stessa destinazione.
Quando arriviamo ai piedi dell’isola (che in realtà è una montagna) conto una decina di jeep, una sessantina di persone, pronte a scalare l’Incahuasi: un paio di sentieri impervi, fra cactus giganti e rocce appuntite, conducono in cima. È da lì che osserveremo l’alba.
Comincio anch’io a salire, le gambe mi fanno male, i polmoni chiedono più ossigeno, la testa martella. Fa davvero freddo. Ma è così che funziona a 3.663 metri di altitudine.
Stringo i denti e continuo.
Quando arrivo in cima ci sono le prima luci, ma il sole non è ancora sorto.
Trovo un posticino e mi accomodo su una roccia per vedere lo spettacolo, che non tarda ad arrivare: i primi raggi investono il Salar, che scintilla con tutto il suo candore. Mi guardo intorno e sembra di stare in paradiso, sospesi fra le nuvole, bianco a perdita d’occhio. È immenso, sembra l’infinito, sembra neve, sembra ghiaccio, nuvole di zucchero filato. E invece è sale. Sale, a più di 3000 metri di quota.
Non ho mai visto un orizzonte così distante.
Non ho mai visto tanta bellezza tutta insieme.
Lontanissime, le cime delle montagne si tingono di viola, poi di rosso porpora, di arancio e rosa e sono maestose. Sembrano fluttuare sul bianco del Salar.
Intorno a me, viaggiatori ammutoliti e sagome di cactus che si stagliano contro quel bianco accecante.
Sorrido, penso a mia madre e a mia nonna Anna, in cuor mio le ringrazio per avermi trasmesso “la passione per il mondo”, per avermi incoraggiato a cercare la bellezza e a rincorrerla in ogni dove. Vorrei che fossero qui adesso a vedere questa magnificenza.
Incrocio lo sguardo di Chiara, la mia compagna in questo viaggio, ci scambiamo un sorriso e da lontano ci capiamo: è stata dura arrivare fino a qui, ma ce l’abbiamo fatta e ne siamo fiere.
Quando il sole è ormai alto, decidiamo di scendere, anche se è difficile schiodarsi da questa bellezza.
Torniamo alla jeep e mentre facciamo colazione col nostro equipaggio ci scambiamo le sensazioni, cercando le parole giuste in una lingua comune.
Subito dopo ci immergiamo nella natura incontaminata del Salar e cominciamo a giocare come bambini, saltellando e scattando foto con improbabili prospettive, creando ricordi che resteranno indelebili.
Si perde la cognizione del tempo in un posto così bello… è difficile andare via, ma dopo qualche ora, lasciamo il Salar per andare a visitare un villaggio Colchani e il cimitero dei treni e piano piano, nostro malgrado, torniamo alla realtà.

Di Valentina Vetro e Chiara Prestia



Related Posts

None found